martedì 31 ottobre 2017

Villa de Sanctis/Casilino 23, chi era Mario Scrocca?

Tra i miei ricordi di bambino ve n'è uno indelebile. Abitavo in quello che allora era il quartiere Casilino 23. Da lì a circa 20 anni avrebbe cambiato nome in Villa de Sanctis. Non c'era ancora il mercato coperto, un banco di frutta ed un macellaio erano stanziati in piazza san Gerardo che, all'epoca, non era rossa, ma bianca. Gli alberi del quartiere erano bassi, i marciapiedi, pochi, erano di ghiaia e sabbia, non di travertino e asfalto. Dove oggi sorge uno dei parchi più belli di Roma, c'era uno sfascia carrozze, un deposito di camper ed altro che non ricordo.

Via Valentino Banal era percorribile in senso contrario a quello di oggi e sbucando su via Checco Durante, si poteva svoltare a sinistra per raggiungere via Romolo Balzani che sbucava su via Casilina, oppure si poteva svoltare a destra per arrivare a via dei Gordiani e scegliere se andare sempre verso via Casilina o verso Via Teano.

All'incrocio tra via Checcho Durante e via dei Gordiani, sulla sinistra c'era, (c'è ancora) un muro sul quale per anni è campeggiata una scritta rossa su sfondo giallino. Foto non ne ho di quella scritta, ma la leggevo ogniqualvolta svoltavamo per quella strada. Doveva apparire un po' come quella in alto. 

"Chi è Mario Scrocca? Chi sono i proletari? Chi sono i comunisti?" 
Erano queste le domande di un bambino di 4 anni che leggeva ogni mattina quella scritta. 


Negli anni la scritta è stata dapprima coperta di vernice e poi il muro stesso è stato coperto dai cespugli urbani. 

Ma chi era, appunto, Mario Scrocca?

Vi riporto un articolo di Repubblica del 3 maggio 1987 a firma di Massimo Lugli:

ROMA. L'avevano arrestato all' alba del 30 aprile, per un attentato del 1978: due ragazzi di destra uccisi a colpi di pistola davanti alla sezione del MSI di via Acca Larenzia, uno dei fatti di sangue più drammatici degli anni di piombo. 
Un primo interrogatorio davanti al magistrato, la notifica del mandato di cattura, un nuovo colloquio fissato per domani. Ma in cella d'isolamento, Mario Scrocca, 28 anni, infermiere del reparto di rianimazione del Santo Spirito, sposato da sette anni e padre di un bambino di 3, ha resistito poco più di 24 ore. 
La sera di venerdì 10 maggio, approfittando di un momento in cui la guardia carceraria di turno si era allontanata, il giovane si è stretto un asciugamano attorno al collo, l'ha fissato alla serratura di una finestra e si è lasciato andare nel vuoto. 
Nel suo reparto.
Poco più tardi, Mario è stato soccorso e trasportato, ormai agonizzante, all'ospedale. E' morto proprio al reparto dove era stato assunto da due mesi, il primo posto fisso dopo una serie interminabile di lavori saltuari. Una storia come tante: la militanza politica nella sezione di Lotta Continua, il precariato, la famiglia, un briciolo di sicurezza economica. Poi l'arresto per una vicenda che sembrava definitivamente sepolta nel mistero. Non ne so niente, ho una casa da pagare e un figlio da crescere, ecco quello che posso dirvi, aveva ripetuto al giudice istruttore Guido Catenacci. Ma gli inquirenti sono convinti di aver raccolto elementi inoppugnabili a carico di Mario Scrocca e di altre quattro o cinque persone (latitanti, di cui non sono stati forniti i nomi), tutte accusate del duplice omicidio. Secondo alcune notizie filtrate in mattinata, prima di uccidersi il giovane infermiere avrebbe indirizzato ai familiari una lettera in cui chiedeva perdono per il tragico gesto e spiegava il perché del suicidio: Non me la sento di affrontare un processo, so di essere innocente. Ma il particolare è stato smentito in modo secco a palazzo di giustizia: Mario Scrocca, in cella, avrebbe scritto solo una sorta di diario in cui annotava con minuzia tutte le più piccole vicende della detenzione, dal momento dell'arresto in poi. Secondo l'avvocato difensore, Giuseppe Mattina, ad accusare l' ex simpatizzante di Lotta Continua (incensurato e sconosciuto alla Digos prima di due giorni fa) è la testimonianza di una pentita. La ragazza avrebbe detto di aver visto Mario a una riunione in cui fu decisa la sigla da usare per la rivendicazione del sanguinoso agguato: Nuclei armati per il contropotere territoriale
La sparatoria di via Acca Larenzia, al Tuscolano, fu uno degli episodi più gravi dell'ondata di violenza che sconvolse la capitale all'epoca in cui il terrorismo era una tragica realtà quotidiana. Franco Bigonzetti, 20 anni, e Francesco Ciavatta, di 19, uscivano dalla sede missina assieme a un terzo attivista di destra quando, alle loro spalle, arrivò di corsa un commando di sette otto persone tra cui (secondo le testimonianze raccolte poco dopo) c'era anche una donna. Dal gruppo, partirono una quindicina di colpi di pistola e i due ragazzi crollarono a terra, centrati in punti vitali. Inutile il ricovero in extremis al San Giovanni. Poco più tardi, esplose la reazione furiosa degli attivisti di destra: cariche, colpi di spranga, sassaiole, qualche sparo. Un carabiniere fece fuoco con la pistola d'ordinanza e un altro missino, Stefano Recchioni, 19 anni, cadde a terra con la testa trapassata da un proiettile. Tre morti, questo il bilancio finale di una giornata di violenza. Le indagini, per anni, rimasero ferme. All'una di notte del 30 aprile, i carabinieri del reparto operativo hanno fatto irruzione nell'appartamento di via Gino Giordano, dove Mario Scrocca abitava da pochi mesi con la giovane moglie Rossella (impiegata della direzione del Partito liberale) e il figlioletto Tiziano. Hanno detto che era per un semplice controllo, di stare tranquillo racconta, annichilito dal dolore, il fratello Gianni, 30 anni, impiegato del Poligrafico di Stato lo hanno portato a Via in Selci e poi direttamente al carcere. Il giorno dopo, il giudice Catenacci lo ha interrogato in cella. Io ho parlato con l' avvocato Giuseppe Mattina che ha assistito al colloquio. Mi ha detto che il magistrato aveva mostrato a mio fratello una lunga lista di nomi e gli aveva chiesto quanti ne conoscesse. Poi lo aveva congedato, fissando un nuovo appuntamento per lunedì. Secondo l' avvocato, Mario poteva stare tranquillo: non c'erano elementi di accusa validi e sarebbe uscito tra pochissimo. Contro di lui, c'era solo la testimonianza della pentita, che però parla solo di una riunione, non dell'omicidio. Questa storia è allucinante aggiunge il giovane Mario era un tipo tranquillo, sereno, per niente depresso. Non era affatto uno che poteva togliersi la vita, non so cos' è successo veramente ma al suicidio io non ci credo. 
Politica a scuola 
Mio figlio aveva fatto politica a scuola, come tanti altri, ragazzate aggiunge la madre, una donna piena di energia nonostante lo choc della tragedia ma non era neanche uno dei più attivi. Finito l'istituto tecnico, al Giovanni XXIII si era dedicato solo al lavoro, aveva lasciato perdere tutte quelle storie. Ma le pare che se avesse ucciso due persone, quando aveva 19 anni, io, sua madre, non mi sarei accorta di niente, non lo avrei visto cambiato, spaventato? Invece niente, Mario è sempre stato tranquillo. Dopo il diploma e un inutile tentativo di trovare lavoro come perito elettrotecnico, il giovane aveva cercato di guadagnarsi da vivere con una serie di attività alternative: una birreria in via dei Limoni, una mensa (la Magiscola) a via Tiburtina, una jeanseria sempre al Tiburtino, aperta assieme alla ragazza che sarebbe diventata sua moglie. Poi, scoraggiato, si era iscritto a un corso per infermieri professionali, aveva trovato un posto alla clinica Mater Dei e, finalmente, aveva vinto il concorso per l' assunzione al Santo Spirito. Da qualche tempo, si era trasferito dall'appartamento di via Casilina 957 dove abitava col padre, Antonio, muratore in pensione, e la madre alla casa nuova, acquistata con un mutuo. Sulla morte del detenuto, è stata aperta una nuova inchiesta affidata al sostituto procuratore Giacomo Paoloni.
Roma dunque usciva in quegli anni da una serie di sanguinose lotte politiche. Per strada, negli anni '70, anche il rifiuto si un volantino poteva essere pretesto per una coltellata. Nel quartiere era ancora vivo il ricordo di quelle lotte che da lotte di borgata si mescolavano a lotte politiche per la rivendicazione di diritti sociali come la casa ed il lavoro. Centocelle, Torpignattara, Pigneto, Quadraro, Villa Gordiani furono quartieri protagonisti della resistenza partigiana romana e il sentimento popolare era ancora vivo nelle famiglie qui nate e cresciute. Ricordi che si tramandavano e che sfociavano, forse franitesi, negli anni di piombo.

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