venerdì 9 dicembre 2022

Perché le civiltà falliscono?

Recentemente ho potuto dare un rapido sguardo al lavoro di Elman Service, un antropologo culturale. Nel suo libro “Origins of the Stateand Civilization”, Service specula sull'argomento di questo post. Presenta sei civiltà, tra cui Cina, Egitto, Perù e Mesoamerica, approfondendo le ragioni del loro crollo.

Historia magistra vitae. O almeno dovrebbe esserlo, ma storicamente, l’uomo, non ha quasi mai imparato dalle lezioni del passato. L'attuale tumulto mondiale, economico, politico e religioso, è sconvolgente per chiunque abbia il senso della storia e le sue lezioni riguardo alla tendenza umana a rovinare ciò che c’è di buono. Ci troviamo, allo stesso tempo, a oscillare tra un senso di pessimismo e l'idea ottimista della “testa sotto la sabbia”.

Non sarebbe allettante diventare un veggente, un mago che predice il futuro, indovinare la data esatta del giorno del giudizio e trasformare la somma di ciò che è sbagliato in una catastrofe - alzare le mani e unirsi ai pessimisti?

Forse è per questo che, in questa epoca storica, trovano spesso albergo (anche economico) veggenti dal portafoglio gonfio, maghi televisivi e cartomanti radiofoniche.

Il pessimismo emotivo è un errore perché occorre essere razionalisti, mettere la ragione dietro i nostri pensieri e fare a meno dell'emozione. Lasciamo che gli emotivi gridino al lupo ad ogni turno come fanno sempre.

Le grandi civiltà studiate da Elman Service sarebbero crollate a causa di un fallimento del governo burocratico. Avrebbero fallito nella loro ragion d'essere: la protezione della società dalle minacce esterne e interne alla sua integrità. Nel corso di generazioni di analisi storiche, sono emerse molte teorie per spiegare il crollo delle civiltà, compresi i fallimenti dei leader dovuti all'arroganza o all'autocompiacimento, un ciclo naturale delle cose (ascesa/caduta, crescita/decadimento) e una crescita oltre la capacità di controllo. Sembrerebbero, però, tutte spiegazioni parziali, che non descrivono completamente il mondo reale.

Elman ritiene che il collasso sia il risultato dell'espansione e del conseguente conservatorismo che renderebbe una civiltà meno flessibile. Quando una civiltà si espande, incontra i suoi vicini e si adatta a quella nuova interfaccia. Il successo nell'adattamento alla fine genera conservatorismo e rende il potere dominante meno flessibile. Nel frattempo, le culture dominate cercano di superare il dominio attraverso la loro maggiore flessibilità per l'innovazione e la sperimentazione. Come disse Trotskij, "i dominati soffrono del privilegio dell'arretratezza". In questa condizione, possono prendere in prestito le tecniche più recenti da civiltà avanzate e saltare passaggi di sviluppo che richiedono tempo, risultando nella capacità di creare in se stessi un enorme potenziale rivoluzionario. Quel potere alla fine diventa competitivo con la civiltà dominante permettendo loro di liberarsi o diventare dominanti sul loro vicino compiacente.

Come si relaziona questo modello con l’Europa? Nel nostro mondo odierno l'interfaccia dei confini in espansione è economica piuttosto che militare. Il nostro predominio nel mondo degli affari è sotto attacco da parte del resto del mondo che cerca di spezzare quote del successo europeo.

Paesi o gruppi di paesi più piccoli possono essere più agili di noi, in particolare dove la manodopera a basso costo e le risorse naturali danno loro un vantaggio. Resta da recuperare l'agilità necessaria per proteggere la nostra posizione.

Quello che appare è anche che in questo mondo postmoderno abbiamo iniziato a decadere internamente a causa di una cultura del relativismo. Forse questo deriva dal fatto che l'influenza maggiore sull'azione dei governi europei è il lobbismo. Poiché i lobbisti rappresentano gruppi e devi essere in gruppo per essere rappresentato. Non puoi essere semplicemente europeo, o tedesco, o italiano o francese. Immigrati, disoccupati, pensionati, insegnanti, operai, impiegati (e chi più ne ha più ne metta) hanno tutti programmi specifici da portare avanti; quindi, i governi non agiscono mai sull'intero corpo, ma solo sui sottogruppi.

Prendiamo ad esempio il problema delle pensioni. Laddove si tenta, periodicamente, di risolvere l’emergenza del momento, perché alcune lobby lo chiedono, alla fine non si risolve il problema alla radice. Questo porta a soddisfare chi è vittima dell’emergenza in quel momento storico, e non tutti, non nel futuro dove ci sarà una nuova emergenza. Ma il “futuro” non ha lobbisti, l’emergenza del momento sì.

Se un governo fallisce del tutto, abdica alla sua ragion d'essere: proteggere il suo popolo dalle minacce interne alla sua integrità. E quando una civiltà non è integrata, si disintegra.

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