venerdì 25 febbraio 2022

Villa Cellere, viaggio all'interno di un misterioso ipogeo (I Parte)

Continuiamo ancora il viaggio alla scoperta di Villa Cellere (o villa Del Grande) e del suo ipogeo. Nell'opera "Marchi, G. (1844). Monumenti delle arti cristiane primitive nella metropoli del cristianesimo: Architettura. Italia: Tip. di C. Puccinelli" sono ben descritte e rappresentate delle iconografie e ortografie dell'ipogeo.

L'italiano è quello del 1844, ma è comunque ben comprensibile. Buon viaggio!

TAVOLA VI E VII

In queste tavole e nella seguente vi è rappresentata l'iconografia e l'ortografia dell'ingresso al cimitero giustamente creduto di S. Elena. Il tuono forte della tinta nella icnografia e nella ortografia indica i muri e le volte costruile del sotterraneo.

A. Muro che tra mezzogiorno e ponente chiude la vigna dei signori Del Grande lungo la via Labicana.
B. Angolo di confine della tinaja o cantina della vigna Del Grande.
C. Sotterraneo ove stendesi la grotta della vigna Del Grande.
D. Taglio aperto nel tufa con intendimento di allargare la grotta , ma che invece con dusse allo scoprimento del cimitero .
E. Scaglioni di recente costruzione che mettono nella scala antica del cimitero.
F. Pianerottolo ove ora si ferma lo sterramento dell'antica scala, la qual pure s'inoltra fin sotto il muro di cinta sulla via Labicana.
G. Piano inclinato e scala che discende al cimitero .
H. Sepolcri o monumenti arcuati simmetricamente disposti lungo le pareti delle scale e dello spazio intermedio.
I. Monumenti arcuati, curvilinei nel fondo interno come sull' alto della fronte esterna.
L. Prima direzione de' cavalori nell' ingrandire la grotta C.
M. Celle o cubicoli aperti interamente sullo spazio interposto alle due scale con arche o loculi scavati nelle pareti per la sepoltura de cadaveri.
N. Cella sterrata non più di quanto bastava a riconoscerne l'andamento e la profondità.
O. Pietre saldamente murate nel pavimento sulle quali pare posassero piccole colonne.
P. Vie incominciate a sterrare, le quali si diramano nell'interno del cimitero.
Q. Diramazione di altre vie.
R. Via che si arresta nel vivo della roccia.
S. Altre vie sterrate alcun poco presso questa prima loro bocca.
T. Quadri a colori che abbelliscono il pavimento, il quale è tutto messo a musaico.
T a. Quadro nel cui mezzo è rappresentata una colomba sopra un ramo d'olivo.
V. Altra scala e piano inclinato per cui si discende al cimitero.
X. Area d'una cella sul cui lato orientale è appoggiata la scala.
Y. Porte che dalla vigna Del Grande introducono alla cella e alla scala.
Z. Muri antichi con moderni ristauri i quali chiudono la cella.
L'ortografia ricorrendo fedelmente sopra le linee della icnografia non ha bisogno d'indicazioni, tranne quella del lucernajo (a), ora restituito al suo uso antico e degli altri lucernaj (b), i quali rimangono tuttavia ostruiti dalla terra d'alluvione.


TAVOLA VIII.
A. Ortografia trasversale lungo la linea che nella icnografia della tavola precedente vedesi segnata S P Q Q.
B. Faccia esterna del muro che chiude il lato meridionale della cella X dove mette capo la scala settentrionale.
C. Faccia interna del muro medesimo e colonnetta fissata in capo alla scala .
D. Colomba sopra un ramo d'olivo che vedesi nel mezzo del musaico segnalo T a nella icnografia.
Il monumento che in queste tre tavole si presenta è situato presso la via Labicana un buon quarto di miglio più lungi da Roma che non sono gli avanzi della primitiva basilica de'santi Marcellino e Pietro e quelli del mausoleo o sepolcro della santa imperatrice Elena.
Il caso piuttosto che lo studio o la deliberazione nel 1838, non sappiamo dopo quanti secoli, lo restituì agli studiosi della Roma Sotterranea e delle cristiane antichità. I signori Tommaso e Natale Del Grande, cittadini di molte facoltà e di gentilissimi modi, ingrandita e migliorata una lor vigna che quivi hanno, si trovarono nella necessità d'ingrandirne eziandio la grotta che ne è il cellajo sotterraneo. Incominciatone il taglio nella direzione da D ad L, i cavatori fuor d'ogni aspettazione usciron ben presto dalla roccia vulcanica che stavan tagliando, e s'avvennero in un sedimento di terre d'alluvione tenaci al pari di qualsiasi più forte argilla, le quali posavano sopra un pavimento messo a musaico bianco e nero di palombino e lava basaltina.
Rinunziarono tosto i Del Grande al divisamento di allargarsi colla grotta in quella direzione, e presero invece a far vuotare il sotterraneo, progredendo non da L M sulla destra G, dove allora non seppero avvedersi della scala che v'era nascosta, ma da L M verso T V, ossia verso la scala opposta che guarda tra settentrione e levante. Andiam dunque debitori al solo amore dei Del Grande verso le buone arti di tutto lo sterramento che vedesi in queste tre tavole. Essi lo fecero eseguire nella parte principale ne' giorni piovosi del 1838; e negli anni appresso nella scala G , e nelle vie P P Q Q R.

Come suole nel primo avviamento di coteste escavazioni, le pareti del sotterraneo, le scale e le vie minori si rimanevano rivestite e chiuse da quel loto tenacissimo delle alluvioni. Perciò non è da maravigliare, se antiquarj eziandio di molta autorità accorsi allora sul luogo, dopo aver considerato quella ricchezza di pavimento, quella disusata larghezza di sotterraneo , quella generale apertura di sei celle diverse sulla lunghezza maggiore del sotterraneo medesimo, senza che vi apparisse mai negli esami comparativi co' cristiani cimiterj alcun esempio nè di vie , nè di celle che alla forma di queste s'assomigliassero, non esitarono a dichiarare profano un monumento, che era pure in tutte le sue parti cristiano.
Ma spogliatesi poco appresso le pareti di quel loro rivestimento, e venuti quindi in luce que'quattordici monumenti arcuati che in esse sono aperti; esplorate le vie laterali e le pareti delle sei celle con quel gran numero d'arche o sepolcri che dentro esse vi sono scavati; sterrata la scala verso mezzogiorno ed apparita in un quadro del musaico del pavimento lanoelica colomba annunzialrice di verità; veduto per ultimo che contra tutti questi certi segni di sotterraneo cimiteriale cristiano non si presentavano argomenti per cui il monumento si potesse per qualsiasi titolo rivendicare a diritti od usi pagani, i giudizi comuni si riunirono in unanime accordo: talchè quanti dipoi si recarono a visitare il luogo ( e vi si recò lo stesso regnante Pontefice Gregorio XVI ) lo riconobbero per quel che in verità era, cioè per cristiano; quantunque di più ampie e ricche proporzioni che non sono le comuni de ' primitivi cimiterj.
 

Il cavaliere segretario della pontificia accademia romana di antichità fece conoscere al pubblico il monumento prima che fosse finito di scavare; e può chi vuole prenderlo a studiare nel decimo volume degli atti dell'academia stessa. Io lo produco nella integrità nella quale ora si ammira; al che, più che altra cosa, mi spinge l'opportunità di poter supplire al difetto di quello che ho dato nella V tavola precedente . Gl’interramenti e le rovine non mi hanno permesso di scoprire se non per due terzi il doppio ingresso al cimitero di s. Agnese . La buona critica meglio s'affiderà all'ingresso doppio del cimitero di s . Elena accessibile in tutte le sue parti, che a quello di s. Agnese, al quale sarei stato obbligato di aggiungere, come ristauro, una parte, che ora non è praticabile, e che avrebbe potuto non ispirare una piena fiducia.
Nel mettermi poi tra il silenzio della storia e la mancanza delle lapidi a rintracciare il vero autore della bella opera che è questa, non posso lasciar di rilevare la stretta relazione che passa tra il monumento, che nella tavola V precedente mi sono studiato di dichiarare e quello che qui ora pongo innanzi alla considerazione degli studiosi . Era quello parte d'un doppio ingresso al primo e al secondo piano del cimitero di s . Agnese, aperto dopo ottenuta la pace della chiesa, ne'primi lustri del quarto secolo, presso la via Nomentana, ad un buon quarto di miglio di distanza dalla basilica della stessa s . Agnese e del prossimo mausoleo di Costanza figliuola o sorella dell' imperator Costantino . È questo un doppio ingresso al solo primo piano del cimitero de santi Marcellino e Pietro, aperto ne' primi lustri del quarto secolo, per dichiarata protezione del primo imperatore cristiano, presso la via Labicana, ad un buonquarto di miglio di distanza dagli avanzi della basilica primitiva de ' medesimi santi Marcellino e Pietro e del mausoleo di Elena madre di Costantino. In tanta parità di luoghi circostanti abbiam tuttavia la varietà di nome nel cimitero. Quello della via Nomentana non ha portato mai il nome di Costanza , ma solo sotto quello di s. Agnese ci vien dato di conscerlo ne'più antichi monumenti, quantunque la sua prima origine di molti lustri preceda il martirio di questa vergine: laddove il cimitero de’santi Marcellino e Pietro è chiamalo eziandio cimitero di s. Elena, quantunque anch'esso sia di un secolo almeno anteriore alla potenza dell'Augusto Costantino e della sua madre.
Che il nome di Elena dato al monumento sepolcrale che il volgo chiama comunemente Tor Pignattara abbia buon fondamento nella storia, possiamo rilevarlo da ciò che troviam scritto in Beda (Item basilicam via Labicana inter duas lauros beato Marcellino et Petro martyribus et mausoleum ubi matrem suam posuit in sarcophago purpureo. Beda de sex aetatibus mundi), in Anastasio Bibliotecario (Eisdem temporibus Augustus Constantinus fecit basilicam beatissimis martyribus Marcellino presbytero et Petro exorcistae inter duas lauros; ubi beatissima mater ipsius sepulta est Helena Augusta in sarcophago porphyretico via Lavicana milliario ab urbeRoma tertio. Anast. Bibl. Vit. S. Silvestri edit. Blanch), ed in Niceforo Callisto (Extra urbem romanam sepulta in templo rotundo porphyretica urna deposita . Nic. Call. VIII. 31).

Clicca, prosegui e leggi la seconda parte.

Villa Cellere, viaggio all'interno di un misterioso ipogeo (II Parte)

Sezione Ipogeo Villa Cellere

Continuiamo il viaggio all'interno di questo affascinante quanto misterioso ipogeo tratto da Marchi, G. (1844). Monumenti delle arti cristiane primitive nella metropoli del cristianesimo: Architettura. Italia: Tip. di C. Puccinelli.

Leggi la prima parte qui.

Sarebbe poi sconsigliatezza il presumere di poter portare una giusta sentenza intorno all'uso a cui servì la parte nobile di questo cristiano solterraneo, somigliante a quello di s. Agnese nelle due scale, diversissimo da ogni altro luogo cimiteriale nello spazio che alle due scale s' intramezza, quando prima non se ne esaminasse sottilmente l'interna struttura e le principali particolarità . E postochè la cella esterna non entra a costituirne l'integrità, incomincisi dalle due scale, le quali con inclinazioni tra loro ben diverse e molto capricciose discendono dalla via pubblica e dalla campagna nel cimitero. Capricciosa altresì e in qualche modo curvilinea ne è anche la loro icnografia, non parallela la loro
larghezza , che dove più si protende non oltrepassa un metro e mezzo . Lo spazio piano che tra esse si frappone , non ha più che trenta metri di lunghezza su due di larghezza ; e sui due lati gli si aprono le une rimpetto alle altre sei celle sepolcrali con una bocca larga tre metri ed una profondità presso a poco di quattro . Le sei celle costituiscono anch' esse la parte nobile del sotterraneo , come quelle che ne hanno comune il pavimento e comune l'altezza delle volte a differenza delle quattro vie laterali ; e sulla loro bocca non hanno pareti o tramezzi che da esso le dividano. In tal guisa l'area intera di questo sotterraneo , che può considerarsi quasi separato dal cimitero comune , è presso a poco di centrenta
due metri quadrati.
Per dare al sotterraneo , il quale non s'abbassa più che otto metri sotto il piano della campagna superiore, la solidità che non potevasi ottenere dalla fragilità del tufa , fu necessario che l'arte v aggiungesse del suo le pareti e le volte . Non sono adunque le sole due scale con muri e volte artifiziali ; ma il sotterraneo quanto è ampio va debitore di sua conservazione a questo universale provvedimento. Le celle laterali , come poco profonde , sonosi sostenute senza gli aiuti delle costruzioni : ma le quattro vie laterali se si vollero prolungare , si dovellero restringere alla misura comune delle vie tutte cimiteriali , e con una dolce inclinazione , che può vedersi in A tav . VIII , convenne abbassarle fino ad aver trovato negli strati del tufa quella saldezza , nella quale è ricavato tutto il rimanente cimitero de santi Marcellino e Pietro.
Ma ciò che meglio d'altra cosa ne può condurre allo scoprimento delle ragioni di lanta ampiezza congiunta a ricchezza di marmi nelle scale , di musaici ne' pavimenti, di stucchi figurati nelle volte e nelle pareti , e quindi del vero uso di tutto il sotterraneo, sono i quattordici sepolcri segnati H ed I. Non a loculi comuni , ma appartengono essi alla classe de ' monumenti arcuati , e più specificatamente di que ' monumenti arcuati che in questi sacri cimiteri si considerano come altari . Ognuno sa che al tempo della nostra imperatrice altare non poteva esservi , il quale non fosse ad un tempo sepolcro d' uno o più
martiri. Prima del dugensettanta dell’ era nostra , la chiesa romana per divota consuetudine celebrava il sacrifizio eucaristico sopra i sepolcri de' martiri . Fu il pontefice san Felice , il quale ordinò che quella consuetudine avesse forza di legge universale e perpetua.
Perciò se questi monumenti arcuati sono altari nel modo più usato degli altari cimiteriali , debbesi inferire che l'imperatrice avesse fatto collocare loro in seno le venerande ossa dei martiri , perchè questa parte del suo cimitero fosse chiesa , se non per tutti gli usi a cui le chiese si adoperano , almeno per la celebrazione e la partecipazione del più augusto dei cristiani misteri.

Numerate le persone che potevano nella parte piana adunarsi , rilevasi che una delle due scale era più che bastevole a procacciare a tutte l'ingresso e l'uscita comoda e pronta . Così una scala sola bastava al passaggio de' fossori e de' divoti che più addentro nel cimitero per le quattro vie laterali si volevano introdurre . Per qual fine aprirne due ? Per chè le donne non 'avessero mai neppure nel breve tratto dell'ingresso e dell'uscita a trovarsi a contatto con gli uomini . Per questo fine medesimo credo io collocate nel pavimento su gli angoli esterni delle celle quelle pietre traforate che paion basi di colonne.
In questi trafori s'imperniavano , quando in un luogo , quando in un altro a misura del bisogno , cancelli amovibili che servivano a contener divisi gli uomini adunati dalle donne , ciò che vediamo essersi fatto altrove con cancelli o transenne stabili e ferme . 

Era io tranquillissimo su questi miei giudizi rispetto alle scale e all'uso del sotterraneo . Contuttociò la forma del luogo m'impediva di persuadermi che qui fosse tutta la chiesa voluta da s . Elena nel suo cimitero . Come sotto le absidi o le tribune delle primitive basiliche vedonsi creati que' sotterranei che si chiamarono confessioni o martirj ; a fine di collocarvi dentro e di ben custodirvi i corpi de' martiri che da' sacri cimiteri si estraevano , e coteste confessioni per quanto fossero alle basiliche congiunte e per mezzo di piccole finestrelle con queste comunicassero , pure non erano esse le basiliche : così
qui venivo io tra me e me argomentando , non doversi questo sotterraneo considerare come un'intera chiesa , ma solo come un martirio alla chiesa congiunto . Sterrate erano le cinque celle M rimaneva ostruita dalla terra d' alluvione la cella N che è nel centro del sotterraneo , e che mi manteneva nella speranza che dovesse ella essere l'immediato vestibolo della chiesa che stavami nella mente . I Del Grande a mia istanza la sterrarono quanto bastavami ad esplorarne le pareti e la profondità. Fu nel trovarla chiusa alla maniera delle altre cinque che riconobbi la mia illusione , ed insieme l' improbabilità che l'imperatrice ordinasse , che servisse d'adito ad una chiesa (la qual sarebbe sempre per grandezza e magnificenza corrispondente alla confessione che stiamo esaminando ) una delle quattro
anguste e povere vie che da essa si diramano . Rammentandomi le forme delle chiese più antiche vedute e misurate da me in altri cimiteri , dovetti conchiudere che questo luogo non ha a considerarsi come chiesa aperta per adunare i fedeli a udir la divina parola , nè per apprestare a' pontefici una stanza opportuna alla consecrazione de' vescovi o alle ordinazioni del clero inferiore. Nel tempo in cui abbiam veduto falta questa opera , molto più agiati e più liberi erano i luoghi per cotali uffizi santissimi . Questa adunque è chiesa nel modo che sono chiese le confessioni o le grotte sotterranee delle nostre più antiche
basiliche. L'unica differenza per cui l'una dalle altre distinguesi è che in queste ne' tempi più antichi non eravi altare sotterraneo , ma il sacrifizio celebravasi nell'altar superiore della basilica , il quale perciò appunto chiamasi tuttavia altare della confessione : laddove qui che la basilica e l'altar superiore vi mancano , gli altari sono sotterranei , e sono tanti , quante erano le coppie de' martiri che entro vi erano stati traslocati , perchè due ordina riamente ne racchiudeva ogni monumento arcuato .
Nè in altra guisa che per quella d'un traslocamento avrebbe l'imperatrice potuto arricchire di reliquie di martiri questa parte nobilissima del suo cimitero . Il dichiarato favore di cui il cristianesimo godeva , non ci consente di credere che ventotto cristiani fossero stati tratti a morte su gli occhi de ' magistrati di Costantino per ragion di fede .
 

D'altronde egli è appunto questo il tempo , in cui le traslazioni de' martiri incominciano. Le basiliche suburbane del Vaticano , della via Ostiense , della Labicana , della Tiburtina , della Nomentana , accoglievano in quegli anni sotto a’loro altari le reliquie di Pietro e di Paolo principi degli apostoli , di Marcellino prete e di Pietro esorcista , di Lorenzo levita , e di Agnese che fu il fiore più bello delle romane vergini. A persuadersi che queste sacre basiliche dalla prima all' ultima fossero edificate col loro centro sopra il luogo preciso de' cimiteri , ove que' martiri erano stati la prima volta sepolti , dovrei far violenza a me medesimo : tante sono le difficoltà che mi si affacciano nel conciliare il fortuito or
dine di que' sepolcri ne' tempi delle persecuzioni con la scelta ragionata de ' luoghi ove quelle basiliche sono erette . Chi mai in mezzo a ' trambusti d'una guerra cieca avrebbe potuto prevedere il numero , la quantità , le virtù de' martiri che ne sarebbon rimasti vittime gloriose ? Chi potea a costui o a colei provvedere sotterra nella profondità di dieci , di quindici , di venti metri un sepolcro , il quale rispondesse appuntino sotto quel luogo, che ottenuta la pace , sarebbe stato riconosciuto come il più proprio ad innalzargli sopra una basilica?
Quando si voglia discretamente ragionar sulle cose de' nostri cimiteri , altri fatti si incontrano , i quali ne mostran la traslazione de' corpi da luogo a luogo nell'interno di quelle grotte anche ne ' tempi di persecuzione . Nel museo di questo collegio romano custodisco io una pietra cimiteriale opistografa , sulla quale furono la prima volta scolpite queste tre voci HILARA IN PACE. Trasportata quest'Ilara ad un sepolcro che non potevasi nè volevasi chiudere con questa pietra e con epigrafe tanto semplice , la pietra fuadoperata a chiudere il loculo d'una Irene , intagliatevi sulla faccia opposta le parole IRENE IN PACE , lasciando intera l’HILARA IN PACE. E se vi fosse chi credesse , non essere questo che un errore del quadratario , il quale fosse costretto a mutare la IRENE in HILARA o viceversa , inviterei l'oppositore a riconoscere sulla pietra stessa la diversità della mano e del tempo delle due iscrizioni e nella calce attaccata ai margini delle due faccie della pietra il certo argomento della sua collocazione successiva a due sepolcri di versi. Ed il ventiquattro maggio trascorso introdottomi io nel cimitero di Ciriaca per raccogliere il frutto delle ultime escavazioni di quest'anno , trovai prossimo al sepolcro
d'un martire il loculo d'un bambinello chiuso con un frammento di grande lapida cimiteriale , sul quale oltre alcune lettere e parole malamente smozzicale , vi rimaneva intera la nave cristiana col faro verso cui era spiegata la vela . A queste osservazioni aggiungasi il fatto di que' cubicoli che sono stati scavati e dipinti o perchè due e tre martiri di grande celebrità vi avessero dentro un sepolcro non comune , o perchè servissero di chiesa ove celebrare le funzioni più sacre . Parlerò tra poco d'un di que' primi in cui m' imbattei nell' aprile di quest'anno ; e più a lungo dovrò in miglior luogo parlar de' secondi . Mi
giovi qui il far osservare , che nè nei primi , nè nei secondi i martiri non vi potevano essere riposti se non alcuni giorni ed alcune settimane dopo sostenuto il martirio . Bastavano pochi giorni a scavare ed apprestare un cubicolo non intonacalo e non dipinto ; ma vivoglion settimane per abbellire anche solo un monumento arcuato con pitture e stucchi. Nel qual fratempo le inevitabili conseguenze della putrefazione de'cadaveri costringeva que ' fossori a chiuderli per poco in un sepolcro per trasferirli quindi all' altro che dovevasi apparecchiare.

Qusti falti e ragionamenti quando si raccogliessero in numero anche maggiore , proverebbero a maraviglia l'autenticità di alcune poche iscrizioni cimiteriali troppo inesorabilmente dalla moderna critica rigettate come non genuine. Egli è verissimo che il primitivo linguaggio epigrafico de' cristiani è quanto si possa dire sobrio e conciso , e che massime dalla metà del terzo secolo le iscrizioni cimiteriali vengono allargandosi progressivamente nelle forme e nelle notizie che ci danno de’ sepolti . Ma non perchè la lapide è del quarto secolo , cessa di essere cimiteriale ed autentica . Io ho per fermo, che i martiri fatti da s . Elena trasportare in questa sua confessione sotterranea , avevano i propri nomi e le indicazioni proprie a' loro sepolcri primitivi , perchè tengo egualmente per fermo che , tranne poche
eccezioni , sotto questi altari si riponessero que' confessori i cui nomi erano descritti nei martirologi e di cui annualmente per quanto polevasi si rinnovava la memoria nel giorno del martirio , che chiamavasi giorno natalizio . Or come adattar la pietra d' un loculo comune o d'un monumento arcuato di forma determinata ad altro monumento arcuato aperto con diverse proporzioni ? E qual cosa tanto verisimile , quanto che in cosiffatte occorrenze , senza alterar la sostanza della iscrizione , le si aggiungessero sulla nuova pietra forme che mal si accordano col tempo a cui la primitiva iscrizione rimontava ? Chi oserà
affermare , che il santo pontefice Damaso non abbia avuto nè chi gli sia ito innanzi, nè chi gli sia venuto dietro nel fatto di adornare con iscrizioni ed epigrammi nuovi i sepolcri de’martiri di tempi già trapassati? È adunque mia opinione , che ne'monumenti arcuati di questo sotterraneo fossero stati trasferiti dalle parti più rimote del cimitero i martiri, verso cui i fedeli professavano maggiore venerazione per la maggior eccellenza de' loro meriti , e che ne' loculi comuni delle celle laterali ottenessero di essere sepolti alcuni de' più ferventi loro veneratori .


Non mi rimangono che alcuni cenni intorno poche accidentalità materiali del luogo su cui ho finito di ragionare. Egli è chiaro che l'architetto , o qualsiasi altro che ne diresse l'escavazione e l'apertura , lo volle posto su d ' una linea retta in tutta la sua lunghezza , e volle che le celle laterali ad angoli retti con questa lunghezza s' incontrassero . E perchè l'esecuzione si allontana di tanto da questo così semplice divisamento ? Non so trovarne la cagione fuori della età a cui l'opera appartiene , e delle non poche difficoltà che incontransi in un lavoro sotterraneo a cava chiusa . Veggo io ne' cimiteri la diversità dello stile e de' tempi come nelle pitture e nelle iscrizioni , cosi ne'tagli delle roccie e nelle architetture . Ne' cimiteri più antichi in luogo di queste dispiacevoli irregolarità incontransi e vie e celle e piccole chiese e mezzane di sì gentile maniera , che in quelle angustie e in quelle tenebre metton di se maraviglia . E qui sarebbe maraviglia l'imbattersi in quelle forme che con quelle de' tempi di Costantino non s' affacessero. Il cavatore educato alla simmetria e alla giustezza de' tagli , quantunque sprovveduto di strumenti e di pratiche geometriche operi quasi alla cieca , contuttociò su buone linee si studia di condurre il suo lavoro e lo conduce . Qui io non vi so vedere che un aperto disprezzo dell'ordine e della
armonia , e questo non pur nel modo con cui si è tagliato il sotterraneo , ma molto più nell'opera del muramento , nel quale si sarebbero potuti emendare molti difetti del taglio , e non si sono emendati . 

Nel 1388 quand' io avevo per il capo divisamenti ben diversi da questi studi della Roma Sotterranea , non ero stato un de' primi a recarmi al cimitero di s. Elena ; perciò nulla avevo potuto vedere degli stucchi di che erano rivestite in origine le pareti e le volte. Nello sterrare la cella N polei per brev' ora vedere ciò che poco stante doveva perdersi nello staccarsi e rimuoversi delle terre d' alluvione . Lo stucco sollevavasi universalmente dal pavimento in uno zoccolo di poco più che dodici centimetri . Su questo zoccolo piantavano basi attiche, e sopra queste pilastrini scanalati e tra pilastro e pilastro quadretti e rombi chiusi entro piccole cornici. Di capitelli , architravi e cimazi , di fascie e scompartimenti che richiamassero nelle volte i pilastri e gl'intercolunni delle pareti , non polei vedere gli avanzi, caduti al cader delle acque di molti secoli e sepolti nell'alluvione.
Mi è paruto che il musaico non meritasse d' essere apprezzato fuori di quella sola parte che mi presentava il simbolo cristiano della colomba. Questa è fatta come le migliori opere che potevansi eseguir con quest' arle nel secolo costantiniano ; il rimanente è pura opera meccanica.

Fondo Villa Cellere: quando a Villa de Sanctis pascolavano pecore e buoi.

Sappiamo che nel 1898 c'era un villino e vi si svolgevano duelli. 

Ora vi propongo la lettura del Bollettino del Ministero di agricoltura, industria e commercio. Serie C, Relazioni e studi scientifici e tecnici del 1911, nel quale due relazioni dell'Ispettorato del Bonificamento Agrario e della Colonizzazione, parlano e descrivono nei dettagli la tenuta di Villa Cellere.

Buona lettura.

Agro Romano nel 1850
 

Concorso a premi per la piantagione di alberi da frutta nell'Agro Romano - (R.D. 30 giugno 1907, n. 509)

Conte Giulio Macchi di Cellere - Villa Cellere

(visita 16 aprile 1910)

Il fondo denominato Villa Cellere, dalla estensione di ettari 51, è posto al 4° chilometro della via Casilina. Il proprietario, signor conte Giulio Macchi di Cellere ha piantato, nella parte della sua proprietà a lui riservata, e nei pressi del giardino, n. 87 alberi da frutta, principalmente meli, peri, cacki, ecc. Gli alberi sono piantati parte in gruppo presso il giardino e parte nell'orto e lungo i viali della villa. La Commissione, riconosciuto che le piante hanno attecchito e danno affidamento di una sicura fruttificazione, dato il loro piccolo numero e la buona volontà del proprietario, addimostratasi anche nel modo col quale è condotta agrariamente tutta la sua proprietà, propone l'assegnazione dell'intero premio e cioè: Per piante n. 87 a L. 0,49, L. 34,89.


Concorso a premi per impianto di nuove aziende nell'Agro romano soggetto a bonificamento obbligatorio (R.D. 29 giugno 1905, n. 508; e D.M. 3 gennaio 1906)

Fondo Villa Cellere, del signor Tommaso Santarelli

Il signor Santarelli, prese in affitto nel 1904 il fondo Villa Cellere, a Tor Pignattara, esteso ha. 51,08 (di cui ha. 2.50 ad uso di villa); vi eseguì i miglioramenti qui appresso indicati (e che risultano anche da una relazione del dicembre 1907, in atti presso l'Ispettorato del Bonificamento); e ne uscì nel settembre 1909, per averlo ceduto in subaffitto, essendo egli passato a condurre altro fondo.

I miglioramenti eseguiti si possono compendiarecome segue: alcuni restauri ai fabbricati esistenti; messa a coltura avvicendata di gran parte del terreno, con divisione in campi, e con sistemazione della superficie e degli scoli; ricostruzione del vigneto esistente, con diradamento di parte di esso; piantagione di circa 600 tra olmi e robinie, ed inoltre riforma della piantagione esistente di gelsi; deviamento e sistemazione di un colatore, per togliere il pericolo d'inondazione in una zona del fondo; recinsione di alcuni appezzamenti. E per certo l'opera colturale dell'affittuario dovette essere solerte e ben condotta; l'impiego di macchine agrarie (la relazione del dicembre 1907, ne constatava per oltre 4000 lire di valore) e di concimi chimici fu rilevante, e ben scelto il bestiame lattifero (allora 32 vacche) introdotto.

Ma qui è da osservare che, anche prima dell'affitto del Santarelli, il fondo, - che dista poco più di tre km. da Porta Maggiore ed è parte del suburbio di Roma - già condotto da precedenti affittuari, stabulava circa 40 vacche lattifere, mantenute anche con foraggi importati dal di fuori. Indipendentemente, perciò, dalle coltivazioni del fondo, questo, per la sua vicinanza al mercato di Roma, era sede di una particolare industria che già gli dava carattere diverso dalla generalità delle tenute condotte col sistema tradizionale romano. Questa industria, naturalmente, è stata anche continuata dal Santarelli, pure importando foraggi dal di fuori del fondo; ma il Santarelli ha messo a coltivazione avvicendata gran parte del terreno, con medicato fuori rotazione.

Della condizione del fondo prima del 1905, la Commissione non farebbe questione, se, avendo smesso il Santarelli di condurre il fondo, ed avendolo subaffittato come sarà detto, gran parte del lavoro da lui accuratamente eseguito non fosse andato perduto, sì che il fondo è venuto a perdere alcuni dei requisiti tassativamente richiesti dai decreti del concorso.

Difatti, al momento della visita della Commissione, si è constatato che il fondo è subaffittato per 9 ha. circa al signor Frattari che, nella stalla principale, mantiene 40 vacche da latte ed 1 toro, oltre a 2 buoi e 12 equini; per altri 2 ha. circa è subaffittato al signor Ponzi, il quale, in altra stalla (in mediocre condizione e senza concimaia) sulla via Casilina, mantiene 14 vacche da latte, oltre a 2 equini; questi subaffitturai naturalmente acquistano foraggi; il resto del fondo, e quindi la maggior parte di esso, è subaffittato per pascolo di pecore, fino al 15 marzo, dopo la quale epoca si falcerà per conto del Santarelli. 

In relazione a ciò, il fondo - se si eccettuano circa ha. 1,40 a vigna (attualmente coltivata ad erbai negli interfilari); ha. 0,60 a filari di viti, consociate a medica; poco più di 8 are di orto; ha. 1,70 ad erbaio di rape; poco oltre ha. 4,50 ad erbaio di favetta e avena - è rimasto per oltre 40 ha. a pascolo.

La Commissione ha dovuto constatare che attualmente nel fondo concorrente sono venute meno le condizioni necessarie perché esso possa essere proposto per uno dei premi stabiliti nel Concorso; e ciò ad onta che, in passato, il Santarelli abbia esplicata pera utile e lodevole, della quale però non restano che poche tracce, essendo il fondo tornato press'a poco allo stato primitivo.

Topografia geometrica dell'Agro Romano- Giovanni Battista Cingolani

Ma perché Villa Cellere (o vigna Del Grande) faceva parte di quella parte di agro romano sottoposto per legge a bonifica?

Ci viene in aiuto uno studio del 1882 di Giuseppe Pinto: Roma, l'agro romano e i centri abitati. In questa opera, a pagina 65, tutta la zona di questo quadrante è così descritta: 

Prima di salure l'erta del colle di Tor Pignattara, in un certo sito detto della Marranella, a cento metri o poco più di distanza dalla vigna Del Grande (poi villa Cellere ndr), presso l'Osteria del Sole e la prossima Vigna Belardi, si notano febbri di infezione miasmatica gravissime, non solo nell'estate, ma anche nell'epoca invernale, in cui l'azione dell'endemia palustra suole essere assai mite nella sua propria intensità e maleficio di effetti. Eppure dalla spianata della vigna Belardi e osteria del Sole all'erta lievissima che condice al vertice del colle, ove godesi salubrità discreta anche nella stagione più ostile dell'anno, la differenza di lvello marino non è che di pochissimi metri. In quella spianata che viene detta pedica della Marranella passa però, dirigendosi sempre piùù a valle, un corso perenne di acqua, detto la Marranella, da cui trae il nome la sottoposta bassura.

Ora. Se il fondo di Villa Cellere copriva circa 50 ettari, quindi 500.000 (cinquecentomila) metri quadrati circa, ho provato a ricalcare un ipotetica superficie nei pressi dell'ipogeo di villa Cellere. Non potendo accavallarsi alla Casilina, credo che il fondo si estendesse esattamente (o quasi) per l'intera estensione di Villa de Sanctis.



giovedì 24 febbraio 2022

100 anni di Pasolini: Centocelle, Piazzale delle Gardenie

Da attento osservatore di quella "Roma di borgata", chissà cosa avrebbe raccontato oggi di questa Roma così cambiata.
Federico Garolla (Napoli 1925 – Milano 2012)
Pier Paolo Pasolini gioca a calcio con i ragazzi della borgata romana di Centocelle nell’attuale piazzale delle Gardenie
Roma, 1960



Per chi, fra i lettori di questo blog, ha la mia età, o magari è anche più grande, ricorderà senza dubbio quei campi di periferia. Ce ne erano tanti nella Roma degli anni '60, come quello ritratto in foto. si tratta di una foto famosa. All'epoca non c'erano scarpini, non c'erano reti per le porte. I pali delle porte erano fatti con giacchetti o alberi: verrebbe da dire che attorno agli alberi nasceva il campo di calcio. Per questo il calcio è sempre stato uno sport molto popolare. Non solo a Roma. Sì, perché bastava davvero poco per realizzare un campo e giocare.
La scuola calcio dei ragazzi ritratti i questa foto era la strada. Nessuno insegnava, ma si imparava tantissimo. Si imparava a lottare per raggiungere un obiettivo. Si imparava a perdere, a "stacce" come si dice a Roma. Anche a resistere agli sberleffi dei vincitori. Si imparava anche a vincere. Dopo una partita combattuta, tutti a ridere e scherzare.

La foto successiva è tratta da Google Maps e ritrae quasi lo stesso punto in cui stavano giocando quei ragazzi. Piazzale delle Gardenie è cambiata. Ma forse è cambiata Roma.

Al centro della piazza fanno mostra di sé piccoli alberi che hanno pochissima terra per crescere, poiché al di sotto di loro passa la nuova metropolitana C. Al posto del grande campo sterrato c'è un piazzale nuovo e lastricato puntellato di sfiatatoi qua e la.
A far da cornice non ci sono più le "case gialle" di Via Fiuggi in lontananza; ormai sono coperte dalla struttura del mercato coperto (ex mercato di Piazza dei Mirti, storico mercato di Centocelle). Ed in primo piano non ci sono montagnette di terra, ma un bel SUV. Così è cambiata Roma, così siamo cambiati noi. Chissà se quegli anziani al centro della piazza nella foto possono essere stati adolescenti al tempo della foto con Pasolini, vero è che in questa piazza non senti più "palla!" o "gooooool", senti altri giovani giocare col cellulare o scattare qualche selfie. Quelli che non vedi stanno magari giocando a calcio in modo virtuale, fra le mura domestiche. Cosa potranno imparare mai?

mercoledì 23 febbraio 2022

Forse non sai che a Villa de Sanctis si faceva a duello: Cavallotti vs Macola a Villa Cellere.

L'appuntamento è alle 14. In punto.

Due ore prima, in una casa del Rione Sant'Eustachio, un uomo di 56 anni, sta ultimando il suo leggerissimo pasto. Porta alla bocca, con un cucchiaio d'argento, del brodo preparatogli dai domestici. I suoi due figli siedono con lui a tavola. Questa è imbandita come nei giorni di festa: tovaglia bianca con bordature ricamate, tovaglioli di stoffa piegati a triangolo, posate d'argento, calici di cristallo. A tavola un vino rosso e una brocca d'acqua. 

Quell'uomo sta mangiando lentamente, più del solito. Mentre porta alla bocca il cucchiaio fumante di brodo bollente, non si accorge che i suoi baffi si stanno bagnando e sgocciolano. Fumano anch'essi. Il suo sguardo è perso nel vuoto. Uno dei figli ha notato che sta guardando la libreria di fronte: è un moblie antico, pieno di libri e lì, da qualche parte, campeggia una foto di Giuseppe Garibaldi, l'eroe dei due mondi. 

Finito il pasto alle 12.45, l'uomo da ordine ai suoi camerieri di preparare la carrozza e i cavalli. Lui va a, vestirsi: una camicia bianchissima ed inamidata, poi giacca nera, pantaloni e gilet, anch'essi neri. Alla cravatta è appuntato uno spillone, i capelli sono corti e già ben pettinati. Sulla testa un cappello a cilindro. Le scarpe sono stringate. 

Impugnato il bastone, l'uomo è pronto ad uscire. Dopo aver baciato i suoi due figli, esce di casa e, dopo aver guardato in alto la finestra di casa, sale in carozza diretto a Villa Cellere. Una villa fuori Porta Maggiore dove i nobili del tempo si danno appuntamento. Oggi al suo posto c'è un supermercato che serve il quartiere Villa de Sanctis.

Quell'uomo è Felice Cavallotti, deputato del regno d'Italia, e ancora non sa che sta andando incontro alla sua morte. 

L'appuntamento è alle 14. In punto. A Villa Cellere lo aspetta il conte Ferruccio Macola per quello che non dovrebbe essere un duello all'ultimo sangue. Sì, perché all'epoca i duelli erano tollerati, ma se all'ultimo sangue, erano considerati omicidio, con tutte le attuenanti dell'onore però.

Felice Cavallotti ha già affrontato 35 duelli, per questo si sente sicuro di poter affrontare e vincere il Macola, di circa 20 anni più giovane di lui e che egli aveva tacciato di mentitore, responsabile di avere pubblicato una notizia non verificata relativa a una querela che egli aveva ricevuto come deputato ed al quale ha dato appuntamento per oggi, domenica 6 marzo 1898 a Villa Cellere. 

All'epoca il codice dell'onore era qualcosa di più di una semplice pittoresca usanza.

Villa Cellere era una villa liberty che si trovava al civico 769 di Via Casilina. Ne ho già parlato qui ed apparteneva ai fratelli Del Grande, proprietari di una vasta tenuta agricola in zona. Villa de Sanctis ancora non esisteva, o forse c'era, ma non corrispondeva al nome del quartiere residenziale odierno, bensì ad una villa di alcuni tenutari della zona.

La Villa Cellere, che oggi non esiste più, al suo posto un supermercato, doveva apparire così: un grande giardino attrezzato, dove durante la bella stagione era possibile consumare la prima colazione; puer essendo definita liberty, non doveva essere un trionfo di lusso. Si trattava pur sempre di una villa fuori porta e a presidio di una tenuta agricola. Una facciata probabilmente cadente, un tetto spiovente a tegole, persiane forse consumate dal tempo, l'unico vero tratto liberty (come si può evincere dalle litografie) l'ingresso, o il portale: un arco medievaleggiante, con in chiave di volta, forse, lo stemma dei Del Grande. Ai lati, su due basamenti stanno delle magnifiche colonne con capitello corinzio che sorreggevano le mensole che, a loro volta, reggevano il balcone del piano nobile, che coronava l'ingresso.

Sicuramente la facciata era decorata di piante rampicanti che, essendo in marzo, stavano fiorendo donando colore a tutta la struttura. 

Quel giorno, a fare gli onori di casa è la contessa Cellere. Macola indossa una camicia liscia, Cavallotti ne porta una inamidata. I padrini eccepiscono che non c'e' "par condicio", perché l'amido del deputato Cavallotti può fungere da ostacolo alla lama, quasi una sorta di giubbotto antiproiettile. Si corre ai ripari e si chiede alla propietaria della villa, se per caso non ha una camicia rigida. La camicia viene trovata e Cavallotti la indossa. 

Bene. Ora è davvero tutto pronto. Il duello può avere inizio. Si svolgerà secondo i dettami dell’epoca: sciabola affilata, uso del guanto e soprattutto senza esclusione di colpi.

Cavallotti inizia bene, ma Macola è più svelto: con una puntata alla bocca, recide la carotide del Cavallotti che morirà poco dopo. Alle 15.30, soffocato dal suo stesso sangue. 

FELICE CAVALLOTTI UCCISO IN DUELLO, titolerà il Messaggero il giorno dopo e gli strilloni lo grideranno per la città. 85 anni dopo, laddove il sangue del Cavallotti aveva bagnato la terra, sorgerà il quartiere Villa de Sanctis.


 

 

giovedì 17 febbraio 2022

Quartiere La Rustica: quello che tutti dovrebbero sapere sull'origine del nome.

Via della Rustica (1948-1956)
 

Unam pedicam Terrae ubi dicitur Rustica, positam inter Turrim s. Sebastiani et fontanam s. Loci ac formas antiquas aquarum. 

Questo testo latino (medievale) è del 1217, anno nel quale Papa Onorio III, al secolo Cencio Savelli, confermava i beni assegnati all'ordine della santissima Trinità, detto del Riscatto, o della redenzione degli schiavi, nominando questa terra. 

Nella ricerca che ho effettuato, non ho trovato alcun barone De Rusticis o famiglia De Rusticis che fossero possessori della tenuta, almeno nel 1217.

Il Nibby in "Analisi storico-topografico-antiquaria della carta de' dintorni di Roma" partendo da Frontino arriva fino alla caduta dell'impero romano d'occidente, laddove il tenimento era posseduto prima da Locullo, poi del padre di un collega dell'imperatore Marco Aurelio; il Nibby stesso afferma che non si conoscono altre memorie fino al 1217, spiegando che "il nome che porta la tenuta, data almeno fin dal principio del secolo XIII, come la Torre di s. Sebastiano ricorda l'odierna Tor Sapienza, la fonte di s. Leucio quella dell'acqua Appia, e le antiche forme o acquedotti, quelli dell'acqua Vergine che attraversavano il territorio."

Anche Sandro Carocci nella monografia "Baroni di Roma. Dominazioni signorili e lignaggi aristocratici nel duecento e nel primo trecento", non sembra accennare ad alcuna famiglia De Rusticis. 

Anna Esposito, nel suo "Sulle orme di Jean Coste - Roma e il suo territorio nel tardo medioevo" invece pone il casale dei fratelli de Rusticis nel 1507 (ben quasi 300 anni dopo!) al confine con i "casalia Boccamazzi et Monimento alias Spaientiae". Sembrerebbe essere un casale ubicato tra la via Prenestina e l'Aniene, corrispondente ad una parte dell'originario casale precedentemente denominato "Casanova", ma che non avrebbe nessun collegamento con la "pedicam terrae ubi dicitur Rustica" menzionata nel privilegio di Onorio III del 1217. 

Per capire meglio l'origine del toponimo de' "La Rustica" sono allora andato ad indagare l'etimologia della parola.

Il dizionario etimologico definisce la parola "Rustico" in questo modo: lat. RUSTICUS da RUS villa, campagna. Appartenente ai campi, alla villa, contadinesco.

Quindi RUS indicava, nel latino classico, la campagna stessa, la villa, la tenuta, non già RUSTICUS che da questa deriva come aggettivo. 

Probabilmente dunque "La Rustica" potrebbe derivare da un generico "FEUDA RUSTICA" o "RES RUSTICA", posti di confine, a volte anche privi di concessionari, come descritto nella citata monografia di Carocci.

Questa è solo una piccola ricerca che, in poche righe, spazia dalla caduta dell'impero romano d'occidente al 1217. Se il lettore vorrà contribuire, sarò ben lieto di leggere i commenti e aggiornare il post. Senza alcuna vena polemica con l'interessantissimo post del comitato di quartiere La Rustica che vi invito a leggere a questo link: in esso, partendo da alcuni appunti e da un lavoro durato anni, il comitato avrebbe rintracciato lo stemma dei De Rusticis. Chissà che questi contributi non possano infine dirimere i dubbi che, attorno al nome del quartiere, aleggiano fin dai tempi del Nibby.

AGGIORNAMENTO!!!!

Ho contattato Lucio Flavio Giuliana, figlio di Mario Alvise Giuliana autore di studi approfonditi sulla storia del quartiere, con il quale ha collaborato alla stesura del libro "Antica Rustica nuova Cetina". Riporto il suo messaggio: 

"La ringrazio per il messaggio e per avermi contattato. Nomi singoli della famiglia De Rusticis sembrano comparire a partire dal XIV secolo con Curzio de Rusticis e poi Camillo. I De Rusticis si imparentarono successivamente con gli Altieri e confluirono per via di matrimoni con la più famosa famiglia dei Borghese (proprietari della tenuta). Quello che lei giustamente mette in evidenza nell'etimologia del  toponimo è del resto collegato al latino Rus 'campagna' e probabilmente con un aggettivo 'rusticus' che indicava nell'Alto medioevo gli addetti alla gestione delle proprietà ecclesiastiche: in particolare il territorio in oggetto dipendeva dalla Domus Culta di S. Cecilia presso Pratolungo a nord dell'Aniene. Nel volume di mio padre viene data questa interpretazione: da un nome comune, quasi di 'servizio' si sarebbe forse passati ad un nome proprio di famiglia, che acquisì il titolo baronale, ma conservò nell'appellativo l'origine di gestori/enfiteuti di una porzione di campagna romana".

Ringrazio ancora il dott. Giuliana per il prezioso contributo.


giovedì 10 febbraio 2022

Francesi o Garibaldi? Chi fece saltare Ponte Mammolo durante l'assedio della Repubblica Romana?

Oltre il Tevere, a Roma è ben noto l'Aniene o Teverone e sono molte le incisioni che mostrano i ponti che hanno attraversato questo affluente proveniente da Subiaco e Tivoli e che si unisce al Tevere a nord di Ponte Milvio. 
Via Tiburtina, la strada che porta a Tivoli, attraversa due volte l’Aniene; in molto scelsero di mostrare Ponte Mammolo, il ponte più vicino a Roma, anche se Ponte Lucano, l’altro ponte, ha offerto una vista più suggestiva a causa di un vicino ed antico mausoleo.
Veduta di Ponte Mammolo, sullo sfondo un ponte, in mezzo una torre con rampa, in primo piano un uomo con un bastone da passeggio, dalla serie 'Le Rovine di Roma'. Data: 1639. Numero di adesione: 2012136660. Incisione di Bartholomeus Breenbergh artista olandese (1598-1657)

L’antico ponte, che già nel '600 era in uno stato piuttosto scadente, fu danneggiato nel 1849, durante gli eventi legati alla difesa della Repubblica Romana, poiché (sembrerebbe) venne fatto saltare dai francesi per ragioni belliche (ma su questo torneremo) e fu poi sostituito da un nuovo ponte a poche centinaia di metri a valle.
Il nome del ponte deriva da Julia Mamaea, madre dell’imperatore Alessandro Severo, che lo fece restaurare. Dal 1388 e chiamato, per la prima volta, "Mammolo". L'ipotesi, però, più  attendibile, circa il suo nome, sembra essere quella di "mammeus" inteso come significato di "marmoreus" poichè in origine il ponte doveva essere di travertino. 
 
"Vedute antiche e moderne le più interessanti della città di Roma, incise da vari autori, in numero 100. (Explication ... rédigée ... par E. Piale.)", "Appendix. Topography"

Collaboratore: PIALE, Stefano. Autore: Roma (Italia) Segnatura: "Biblioteca britannica HMNTS 10131.h.1." Pagina: 97 Luogo di pubblicazione: Roma Data di pubblicazione: 1820 Editore: V. Monaldini Emissione: monografica

 


Quasi tutti i siti che raccontano della storia della Repubblica Romana (1848/1849) e di Ponte Mammolo sono concordi nel raccontare che i francesi fecero saltare Ponte Mammolo. Altri, pochi, ritengono Garibaldi. Non si capisce come abbiano potuto farlo i Francesi, dato che sbarcarono a Civitavecchia e raggiunsero Roma lungo la via Aurelia, nel primo assalto. Assalto che si trasformò rovinosamente in una ritirata. Non solo, il generale Oudinot, comandante delle truppe francesi, sostenne di aver voluto risparmiare i monumenti; cosa comunque non vera poiché, come racconta Temistocle Mariotti ne "La difesa di Roma del 1849", la commissione artistica presideuta dal Canina ebbe a verificare che le palle di cannone raggiunsero: il S. Paolo nell'Areopago di Raffaello, tetto cappella Sistina, "tre passeggiarono allegramente tra le sale della reggia Vaticana", museo e biblioteca vaticana. Addirittura le proteste del comune di Roma raggiunsero quello di Parigi che di mostrò indignato dal vandalismo dei suoi connazionali.

Probabilmente fu Garibaldi a far saltare ponte Mammolo? Quando e perché? 

Dopo la ritirata dei Francesi, un nuovo attacco a Roma si stava preparando. I primi a partire furono i soldati del Regno di Napoli, i borbonici che, occupando Terracina, Frosinone, Ceprano, Velletri, Albano e altri territori dal mare agli appennini, ovunque tentavano di ripristinare il controllo pontificio percorrendo la via Appia. I borbonici da sud/sud-est chiesero aiuto ai francesi accampati di nuovo a Civitavecchia in attesa di rinforzi dopo il primo assalto, ma Oudinot fece orecchie da mercante e i romani ebbero gioco facile a sbaragliare i borbonici. Così, il triumvirato che governava la Repubblica Romana decise di spedire Garibaldi contro la destra dei borbonici per scompigliarli. Il 4 maggio Garibaldi esce da Roma e si accampa a Tivoli. Probabilmente avrà percorso la via di Tivoli lungo la quale si trova il ponte. In questo passaggio probabilmente fece saltare ponte Mammolo? Per avere comunque le spalle coperte da possibili attacchi? Forse no. Perché avrebbe dovuto temere un attacco alle spalle? E da chi? Il 7 maggio, non avendo ricognizione del nemico, giunge a Palestrina dove ingaggia i borbonici che si disperdono per i monti prenestini e i castelli Romani, da Montecompatri a Frascati. Garibaldi campeggia fuori Palestrina fino al 12 maggio, giorno in cui viene richiamato a Roma, stante il pericolo di un nuovo attacco francese. Forse il ponte Mammolo venne fatto saltare al rientro di Garibaldi? Visto l'imminente arrivo dei francesi da nord-ovest era meglio chiudere l'arrivo di eventuali borbonici da sud-est?

Fatto sta che una seconda spedizione ricacciò i borbonici fin nelle loro terre, laddove Garibaldi voleva lanciarsi per sobillare le popolazioni, ma venne richiamato ancora una volta.

Sicuramente, un ponte fatto saltare da Garibaldi durante l'assedio del 1849 fu Ponte Milvio, proprio per ostacolare l'avanzata dei francesi. 

Ho provato a dare una mia interpretazione delle vicende. Se il lettore avesse altri elementi, sarò ben lieto di poterli aggiungere.